Tra norme fiscali, contratti commerciali e realtà operative: quello che le imprese devono sapere (e che spesso nessuno spiega)
Negli ultimi anni si è parlato moltissimo di cessione del credito, soprattutto in relazione ai bonus edilizi. Tuttavia, ancora oggi, la maggior parte degli imprenditori – e non pochi professionisti – continua a confondere le diverse tipologie di crediti cedibili, i soggetti coinvolti, le regole che ne disciplinano la circolazione e persino le logiche economiche sottostanti.
Il risultato è che troppe operazioni si inceppano, rallentano o vengono rifiutate per errori evitabili. Altre, apparentemente andate a buon fine, si rivelano insostenibili nel tempo per mancanza di liquidità, scarsa trasparenza contrattuale o errata valutazione del valore reale del credito. È dunque il momento di riportare ordine e chiarezza in una materia che, per quanto tecnica, incide oggi in modo diretto sulla sopravvivenza e sullo sviluppo di migliaia di aziende italiane.
In primo luogo, va compreso che non esiste una sola “cessione del credito”, ma almeno due filoni distinti: quello fiscale e quello commerciale. Il primo si riferisce a crediti d’imposta maturati verso lo Stato – ad esempio, quelli derivanti da Superbonus, Ecobonus, Bonus Barriere Architettoniche o Bonus Mezzogiorno – che, in determinati casi e secondo modalità definite, possono essere ceduti a terzi, inclusi soggetti privati, banche o intermediari finanziari. Il secondo, invece, riguarda crediti ordinari tra aziende, come le fatture per forniture di beni o servizi, cedute a scopo di anticipazione o disintermediazione bancaria.
Le due categorie non vanno confuse. I crediti fiscali, ad esempio, richiedono una procedura specifica, che include il visto di conformità, l’asseverazione tecnica e la comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Possono essere oggetto di controlli a campione anche a distanza di anni e la loro cedibilità può dipendere da condizioni temporali e soggettive, come l’inizio lavori, la tipologia dell’immobile o il profilo fiscale del beneficiario. I crediti commerciali, al contrario, sono regolati dal Codice Civile, e la loro cessione è una libera pattuizione tra le parti, pur con alcune cautele giuridiche e fiscali (per esempio, il factoring pro soluto o pro solvendo).
Nel primo caso, il problema principale è la liquidabilità del credito: per molte imprese, soprattutto nel settore edilizio, il vero dramma è aver accumulato crediti d’imposta che – pur essendo formalmente validi – non trovano un acquirente disposto a pagarli in tempi ragionevoli. Da qui l’emergere di operatori specializzati, come GrifoFinance e altri soggetti di mediazione creditizia, che aiutano le imprese a collocare questi crediti presso controparti disponibili, anche a condizioni flessibili o frazionate.
Nel secondo caso, invece, il focus è più spesso sulla velocità di incasso: si cede un credito per ottenere subito liquidità, rinunciando a una piccola parte del valore nominale. Ma anche qui entrano in gioco elementi delicati, come il rischio di inadempimento del debitore originario, la possibilità di rivalsa in caso di controversie, e la valutazione corretta del merito creditizio dell’azienda acquirente.
Un errore comune è pensare che la cessione sia sempre la soluzione migliore. Non lo è. In molti casi, può comportare costi occulti, responsabilità residuali o effetti collaterali imprevisti. Ecco perché la consulenza professionale diventa fondamentale: per valutare caso per caso quale tipo di credito conviene cedere, a chi, quando e a quali condizioni. Un altro aspetto spesso trascurato è l’impatto della cessione sul rating bancario e sulla percezione dell’azienda da parte del sistema finanziario. Anche la migliore operazione di cessione può rivelarsi un boomerang se gestita in modo disordinato o se altera in modo significativo il profilo contabile e patrimoniale dell’impresa.
Va inoltre ricordato che, con le nuove disposizioni fiscali introdotte dal 2024, il numero massimo di cessioni successive per i crediti fiscali è stato ulteriormente limitato, e la tracciabilità degli scambi è diventata molto più stringente. Il mercato, di conseguenza, si è ristretto, e gli operatori più seri hanno iniziato a selezionare con maggiore rigore i crediti da acquistare, penalizzando quelli più frammentati, datati o privi di documentazione completa.
In questo scenario, il consiglio per le imprese è uno solo: evitare il fai-da-te. La cessione del credito – fiscale o commerciale che sia – è un’operazione complessa, che va costruita con attenzione, conoscendo non solo la normativa, ma anche le dinamiche reali del mercato. Troppo spesso si confonde “valore nominale” con “valore effettivo”, si sottovalutano i tempi tecnici o si ignora il peso di una due diligence seria. E quando si sbaglia in questo campo, il conto arriva sempre.
Meglio dunque muoversi con prudenza, ma con determinazione. Perché il credito, se gestito bene, può ancora rappresentare una leva straordinaria per il rilancio di molte PMI. Ma se gestito male, può diventare un cappio.
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