Pensioni basse, contributi alti, tutele quasi inesistenti: perché il sistema va ripensato (subito)
Nel panorama della previdenza italiana, esiste un comparto poco discusso ma strutturalmente iniquo: la Gestione Separata INPS. Nata negli anni ’90 per includere i lavoratori autonomi “atipici” — consulenti, freelance, professionisti senza cassa, collaboratori coordinati e continuativi — si è trasformata nel tempo in una gabbia contributiva ad alto rischio sociale.
Chi ne fa parte, spesso per obbligo e non per scelta, versa più di un quarto dei propri guadagni in contributi previdenziali… per ricevere in cambio una pensione futura molto più bassa rispetto ad altre categorie. E con una rete di protezione sociale tra le più fragili d’Europa.
È una trappola silenziosa. Ma reale. Ed è il momento di analizzarla con onestà, dati alla mano.
Una struttura sbilanciata: come funziona la Gestione Separata
La Gestione Separata è un fondo pensionistico pubblico istituito nel 1995 (L. 335/95) per includere tutte quelle figure professionali non iscritte ad altre casse previdenziali. Vi rientrano:
- Collaboratori coordinati e continuativi
- Lavoratori autonomi occasionali
- Freelance e Partite IVA senza cassa professionale
- Alcuni amministratori, sindaci, revisori, ecc.
Le aliquote attuali (2025):
- 26,07% per autonomi senza altra tutela previdenziale
- 24% per chi ha altra copertura pensionistica
- 2,03% come aliquota aggiuntiva per maternità, malattia, ecc.
Il problema? Le prestazioni sono le stesse — se non inferiori — rispetto a chi versa molto meno altrove.
Pensioni basse nonostante contributi alti
A parità di reddito, chi è nella Gestione Separata:
- Versa più contributi rispetto a un dipendente (che condivide l’onere con il datore di lavoro)
- Riceve meno prestazioni in caso di malattia, maternità, disoccupazione
- Matura un montante contributivo più basso per effetto di aliquote apparenti elevate ma rivalutazione reale modesta
Un esempio semplificato:
ategoria | Reddito annuo | Contributi versati | Pensione futura stimata (€/mese) |
---|---|---|---|
Dipendente privato | €30.000 | €10.000 (metà a carico datore) | €1.200 |
Partita IVA (Gestione Separata) | €30.000 | €7.800 (tutti a carico proprio) | €800 |
Il gap è evidente. E destinato ad allargarsi, perché il sistema contributivo puro premia solo chi ha carriere stabili e continue, cosa rara tra gli autonomi moderni.
I paradossi della gestione separata
1. Chi versa di più riceve di meno
L’autonomo versa l’intera aliquota (oltre il 26%), mentre il dipendente solo il 9% circa (il resto lo versa l’azienda). Ma il trattamento pensionistico e le tutele accessorie sono molto più favorevoli per il dipendente.
2. Nessun TFR, nessun ammortizzatore sociale vero
Chi è nella gestione separata non ha diritto al TFR, ha accesso solo parziale a indennità di maternità/malattia (a volte serve il minimo di contribuzione), e la disoccupazione (DIS-COLL) è concessa in modo molto limitato.
3. Sostenibilità fiscale personale al limite
Con redditi bassi o altalenanti, il peso dei contributi diventa insostenibile. Ma non versarli significa compromettere irrimediabilmente la pensione futura.
Il problema sistemico: iniquità tra categorie
Negli anni, si è creata una vera e propria previdenza a doppia velocità:
Categoria | Versamenti | Diritti | Stabilità futura |
---|---|---|---|
Dipendente | Parziale | Ampia | Alta |
Autonomo con cassa | Elevata | Variabile | Media |
Autonomo senza cassa (Gestione Separata) | Molto elevata | Ridotta | Bassa |
Il sistema previdenziale, pur essendo unico e pubblico, non tratta tutti i contribuenti allo stesso modo, nonostante versino somme simili o superiori.
Cosa può fare oggi un lavoratore nella Gestione Separata?
1. Attivare una previdenza integrativa (urgente)
Chi lavora in autonomia, soprattutto nella Gestione Separata, non può permettersi di non affiancare un fondo pensione o un PIP. È l’unico modo per avere un’integrazione futura sostenibile.
- Versamenti anche minimi deducibili fino a €5.164,57/anno
- Scelta tra comparti garantiti o dinamici
- Possibilità di riscatto anticipato in casi specifici
2. Diversificare il futuro: risparmio, investimento, liquidità
Costruire una “previdenza personale” significa non affidarsi solo a un fondo. Serve un mix tra:
- Accantonamenti liquidi a breve-medio termine
- Investimenti a lungo termine (PAC, ETF, ecc.)
- Coperture assicurative per malattia grave, invalidità, ecc.
3. Pianificare con un consulente esperto
Serve un approccio integrato, che tenga conto di:
- Reddito attuale e prospettico
- Età e orizzonte pensionistico
- Carico fiscale complessivo
- Capacità di risparmio mensile
- Propensione al rischio
E se non si fa nulla?
Lavorare 40 anni da autonomi nella gestione separata, senza previdenza integrativa, significa spesso arrivare alla pensione con un assegno mensile sotto i 700 euro, in alcuni casi anche sotto i 500.
La povertà previdenziale è già qui.
Solo chi si muove per tempo potrà evitarla.
Verso una riforma? I nodi ancora aperti
Il dibattito politico raramente tocca il tema della Gestione Separata, se non in modo accessorio. Eppure, alcuni correttivi minimi sono ormai necessari:
- Estensione strutturale delle tutele minime (malattia, maternità, disoccupazione)
- Progressiva riduzione delle aliquote per i redditi più bassi
- Facilitazioni per l’adesione obbligatoria a fondi integrativi
- Incentivi per la continuità contributiva anche nei periodi di calo del reddito
Una vera riforma strutturale dovrebbe equiparare i diritti fondamentali tra categorie, senza penalizzare chi lavora in autonomia.
Agire prima che sia troppo tardi
La Gestione Separata non è solo una voce sul CUD. È una condizione previdenziale che, se non affrontata con consapevolezza, può determinare un futuro a rischio povertà per milioni di lavoratori autonomi.
I 5 pilastri per proteggersi:
- Informarsi su come funziona il proprio regime previdenziale
- Integrare con strumenti pensionistici privati
- Pianificare con orizzonte lungo
- Diversificare tra previdenza, investimento e protezione
- Pretendere una riforma giusta per tutti
Perché la libertà del lavoro autonomo non può tradursi in insicurezza sociale.